La Digitalizzazione del processo amministrativo: un percorso possibile? – Una introduzione
Alla digitalizzazione dell’amministrazione e del suo procedimento ha fatto seguito la previsione, da parte del legislatore, dell’esercizio telematico della funzione giurisdizionale, in primo luogo di quella civile, ma poi anche di quella amministrativa, tributaria e contabile. È inoltre già in cantiere, con recentissime novità al riguardo, anche il processo penale telematico, o almeno una parte di esso.
Per quanto riguarda la giustizia amministrativa, l’iter della sua radicale trasformazione è stato avviato con la legge delega n. 69 del 2009 (art. 44), anche se già con il D.P.R. 13 febbraio 2001, n. 123 (Regolamento recante l’uso degli strumenti informatici e telematici nel processo civile, nel processo amministrativo e nel processo dinanzi alle sezioni giurisdizionali della Corte dei conti) si prevedeva innovativamente la possibilità che gli atti del processo potessero essere formati e compiuti con documenti informatici e sottoscritti con firma digitale.
A differenza di quanto è stato detto dagli addetti ai lavori a proposito della spinta verso la razionalizzazione e semplificazione del procedimento amministrativo che proviene dalla sua digitalizzazione, nel processo amministrativo il ricorso agli strumenti telematici non può certo incidere sulla struttura e sul modo di atteggiarsi dell’attività giurisdizionale, ma si presenta – almeno sulla carta – come la mera messa a disposizione degli utenti di mezzi più rapidi e funzionali per lo svolgimento di alcune attività prima svolte presso le cancellerie o tramite gli ufficiali giudiziari.
L’impatto della informatizzazione del processo infatti riguarda essenzialmente le modalità telematiche di effettuazione dei depositi e di sottoscrizione degli atti del processo (delle parti, del giudice e degli ausiliari del giudice), con conseguente formazione di un fascicolo informatico, le comunicazioni di cancelleria (chi nei tempi che furono non è stato “inseguito” dagli addetti alla notifica degli avvisi di udienza?) e l’individuazione del domicilio delle parti presso i loro difensori.
Sempre in via informatica è poi gestita l’organizzazione del lavoro dell’ufficio giudiziario da parte dei Presidenti (fissazione delle udienze, assegnazione dei fascicoli ai relatori, ecc.).
Possiamo dire, dunque, che per quanto riguarda il PAT ci troviamo nella fase della mera automazione delle procedure e che probabilmente questa sarà una frontiera invalicabile, dal momento che appare allo stato molto azzardato — quanto meno nel nostro ordinamento costituzionale — giungere a prefigurare evoluzioni nel senso della possibilità di adozione di provvedimenti giurisdizionali automatizzati, come invece sembra avvenire in altri ordinamenti.
Il processo telematico non introduce dunque un nuovo modello processuale, bensì — in sostanza — solo una nuova forma di comunicazione tra i soggetti del processo.
Le problematiche relative agli aspetti tecnici sono state quasi sempre sinora ragionevolmente superate, anche se la giurisprudenza ci ha purtroppo messo del suo ad esempio sulla questione della validità della notifica effettuata a Enti pubblici non presenti (per colpa loro, non certo degli utenti) sul registro REGINDE, ma solo su INI PA; recenti modifiche normative hanno definitivamente superato questioni che ben potevano (e anche lo erano state transitoriamente) essere risolte in via giurisprudenziale, e sinceramente mi ha deluso che non fosse stata la ragionevole giurisprudenza a prevalere, ancor prima del doveroso intervento del legislatore.
A questo si lega altresì il tema forse di maggior impatto, anche se non di rilievo giuridico, che riguarda invece proprio il nuovo modo di lavorare dei giudici e degli uffici di segreteria, a seguito dell’avvio del PAT.
Si tratta — sicuramente — di una rivoluzione rispetto ai tradizionali modelli organizzativi del lavoro.
Per certo, molte energie lavorative a suo tempo occupate dalla gestione della enorme mole di carta che accompagnava il processo amministrativo (ricordo al riguardo nottate trascorse ad ammucchiare pile e pile di fotocopie di fatto inutili, ma richieste inflessibilmente dalle Segreterie) sono state immediatamente liberate, ed è stato introdotto (ancorché non entrato ovunque a pieno regime) l’Ufficio per il processo, che dovrà accompagnare il giudice nello studio dei fascicoli e della giurisprudenza.
Nel contempo è via via mutato il modo di lavorare del giudice, soprattutto in relazione allo studio dei fascicoli e alle modalità di scrittura delle sentenze.
Occorre infatti pensare che la maggioranza dei giudici amministravi appartiene ad una generazione che non può certo essere definita di “nativi digitali”.
Sarà dunque necessario ben comprendere se e come questo radicale cambiamento nel modo di leggere (a video piuttosto che su carta) potrà influire sulle modalità e sui tempi di concentrazione, memorizzazione e comprensione del testo digitale rispetto al testo cartaceo da parte del giudice. E se e come ciò potrà influire sulla redazione della sentenza.
A questo proposito non sembra inopportuno sottolineare come proprio in sede di conversione del d.l. n. 168 del 2016, il legislatore abbia inteso disciplinare i criteri per la sinteticità e la chiarezza degli atti di parte, estendendo a tutte le controversie proposte dinanzi al giudice amministrativo il principio introdotto dall’art. 120 c.p.a. per i soli ricorsi in materia di appalti pubblici, prevedendo mediante decreto del Presidente del Consiglio di Stato l’individuazione dei criteri e dei limiti dimensionali del ricorso e degli altri atti difensivi (cfr. art. 13 ter dell’allegato II al c.p.a., introdotto dalla l. 197/2016 e decreto Pres. CdS n. 167 del 22.12.2016).
Ciò non può che significare che – almeno nell’ottica del legislatore – all’uso della telematica nel processo deve corrispondere una consistente riduzione della lunghezza degli atti processuali e ciò sia per ragioni tecniche sia per consentire una loro maggiore leggibilità.
Sul tema delle differenze tra la lettura su carta e quella su schermo vi sono state negli ultimi anni numerose ricerche, le quali hanno tutte messo in luce vantaggi e svantaggi delle due modalità di lettura. In sintesi, ciò che sembra emergere è che, a fronte di maggiore rapidità e facilità di consultazione di internet, propria della lettura su video, essa sembra comunque meno approfondita e potrebbe comportare maggiori difficoltà di memorizzazione e comprensione rispetto alla lettura su carta.
Vero è che alla riprova dei fatti si sta registrando un notevole aumento delle sentenze in rito, che consentono al giudice di evitare l’esame nel merito di molte vicende anche complesse; c’è da chiedersi se questa sia una conseguenza della inconscia difficoltà, se non proprio subliminale rifiuto, a studiare in video complesse questioni, che la decisione in rito consente invece di eludere completamente, fermandosi prima.
Al riguardo siamo stati, come avvocati, complessivamente contenti dell’abolizione dell’obbligo di deposito delle copie di cortesia, ma alla riprova dei fatti è stato un bene o un male? Vero è che a questo punto ci dobbiamo affidare totalmente ai giudici e al loro scrupolo di studio dei file digitali che loro mettiamo a disposizione.
L’ulteriore passaggio l’abbiamo sperimentato, ed è rappresentato dalle udienze da remoto, che il d.l. di ieri 28.10.2020, n. 137 ha riproposto, con il funesto presagio di un nuovo lockdown a partire dal prossimo 9 novembre e con durata allo stato prenotata sino al 31.01.2021.
Sentendo i colleghi avvocati le esperienze, almeno dal nostro punto di vista, della discussione da remoto sono variegate; personalmente quanto si è avuta nuovamente la possibilità di discussione di persona, in particolare in Consiglio di Stato e su temi importanti, si è sentita molto la differenza e si è avvertita una maggiore attenzione da parte di chi ascoltava, oltre che una maggiore facilità nella gestione delle udienze.
Un ultimo tema che metto sul piatto è quello del ruolo degli avvocati locali (“domiciliatari”) e del loro coinvolgimento, o meno, per ricorsi che ci troviamo a seguire a distanza, in sedi giudiziarie diverse da quelle di nostra ordinaria frequentazione; per chi è abilitato al PAT non fa infatti alcuna differenza effettuare un deposito telematico a Roma, ad Aosta o a Catania, e a maggior ragione se poi le discussioni da remoto non si estinguessero assieme al Covid con il suo auspicato vaccino, la cosa determinerebbe l’ulteriore decimazione della nostra categoria.
Avv. Luca De Pauli