E’ possibile individuare alcune regole comportamentali apprezzate dalla giurisprudenza per esonerare da responsabilità l’amministratore di società di capitali anche alla luce del nuovo Codice della Crisi?

Dopo un primo opportuno intervento in occasione della riforma del 2003 in funzione del necessario allontanamento da “schemi” di oggettivizzazione della responsabilità degli amministratori sembra che ora il nostro legislatore voglia ritornare sui suoi passi, quasi a voler dilatare le ipotesi di responsabilità degli amministratori, ad esempio ampliando (anche oltre il criterio di autonomia soggettiva) la garanzia (patrimoniale) per i creditori sociali.

Ci si riferisce per il primo aspetto alla responsabilità per omessa vigilanza che opportunamente il legislatore con la Riforma del 2003 ha limitato, appunto, in uno spazio riconducibile effettivamente alla colpa (quanto meno nelle intenzioni) e sotto il secondo profilo alle modifiche introdotte con il Codice della Crisi in punto determinazione del danno risarcibile in favore dei creditori sociali e in particolare alla previsione di cui all’art. 2486 c.c. in punto quantificazione del danno quale differenza tra netti patrimoniali.

 

In tale contesto gli obblighi a carico degli amministratori delle società di capitali si sono altresì “arricchiti” della previsione del Codice della Crisi – Il recente D.Lgs. 14/2019 – che ha introdotto il nuovo secondo comma dell’art. 2086 c.c., il quale sancisce che “l’imprenditore che operi in forma societaria o collettiva ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi d’impresa e della perdita della continuità aziendale”. Norma che viene espressamente richiamata sia all’art. 2380 bis c.c., con riferimento all’amministrazione delle società per azioni, sia all’art. 2475 c.c., relativo all’amministrazione delle società a responsabilità limitata.

Per vero questa sembra la classica previsione che di per sé può contenere tutto e il contrario di tutto.

Già considerare ed inserire l’aggettivo “adeguato” significa molto….. visto che la tentazione è evidentemente quella di considerare l’esito della gestione e quindi applicare quello che non si dovrebbe fare….. il giudizio ex post.

In base a tale articolo, infatti, gli amministratori sono tenuti a:

  • istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi d’impresa e della perdita della continuità aziendale; nonché
  • attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale.

Ma come si valuta l’adeguatezza di tale assetto?

 

L’assetto adottato, in particolare, risulta adeguato laddove permetta la tempestiva rilevazione dell’eventuale stato di crisi, nonché l’adozione e l’attuazione di misure volte al suo superamento.

Ancora una volta, purtroppo, ci si trova a valutare l’adeguatezza quando le cose “sono già andate male”.

 

La funzionalità degli assetti adeguati alla tempestiva emersione dello stato di crisi, peraltro, trova conferma nel meccanismo delle misure premiali previste dall’art. 25 del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, in quanto il godimento di tali misure è subordinata alla iniziativa tempestiva dell’organo amministrativo (che a sua volta dipende – o dovrebbe – dall’effettiva idoneità degli assetti).

 

Quali sono i soggetti chiamati a realizzare e valutare gli assetti adeguati di cui alla normativa citata?

Per dare risposta a questo quesito è necessario fare riferimento all’art. 2381 c.c., dal quale risulta che:

  • Gli organi delegati hanno il compito di curare l’adeguatezza degli assetti;
  • Il Consiglio di Amministrazione deve valutare l’adeguatezza;
  • Il Collegio Sindacale ha il compito di vigilare su di essa.

Venendo quindi al tema della responsabilità degli amministratori, in giurisprudenza e dottrina si è soliti distinguere tra obblighi degli amministratori aventi un contenuto specifico e precisamente determinato dalla legge o dall’atto costitutivo e obblighi generali di amministrare con diligenza e senza conflitti di interesse. Stante la variabilità dei contenuti e dell’estensione che l’adeguatezza degli assetti gestionali può assumere nei singoli casi concreti, si rende incerta e discussa la collocazione del dovere di istituire adeguati assetti tra i doveri generici ovvero tra quelli specifici.

L’orientamento che sembra prevalente è per vero nel senso di ritenere che il dovere di istituire adeguati assetti rientri tra quelli generici (ovvero, si dice da parte di alcuni, si tratterebbe di dovere specifico a “contenuto aperto”).

Dal lato della giurisprudenza, oltre ad una pronunzia del Tribunale di Milano (Trib. Milano 21 ottobre 2019) che però si è più occupata del “momento” di necessaria attivazione degli amministratori in presenza di una crisi per l’adozione e attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento, affermando nel caso concreto la responsabilità degli amministratori, il Tribunale di Roma (Trib. Roma 24 settembre 2020) ha espressamente richiamato la c.d. business judgment rule.

Più in particolare, il Tribunale di Roma ha precisato che “La predisposizione di un assetto organizzativo, dunque, non costituisce l’oggetto di un obbligo a contenuto specifico, ma al contrario, di un dovere che non è predeterminato nel suo contenuto e che può acquisire concretezza solo avuto riguardo alla specificità dell’impresa esercitata e del contesto in cui quella scelta organizzativa viene posta in essere”.

Un tanto, distinguendo, però, tra totale mancanza di adozione di assetti, che in quanto tale determina di per sé una responsabilità dell’organo gestorio, dall’ipotesi in cui gli assetti siano stati adottati e si tratti di valutarne l’adeguatezza, con applicazione dei limiti e criteri della proporzionalità e ragionevolezza.

Sarebbe possibile, così, configurare una responsabilità degli amministratori che abbiano adottato degli assetti, salvo poi essersi verificata l’insolvenza senza la tempestiva adozione di misure previste per il superamento della crisi, solo laddove, ad esempio, non fosse stata attuata un’adeguata istruttoria ovvero si fossero adottati assetti non coerenti, anzi irragionevoli, rispetto agli esiti dell’istruttoria.

Per vero, ci sembra permanere il forte il dubbio che tale sindacato e valutazione si risolva alla fine in una sorta di automatismo che induca desumere dal verificarsi dell’insolvenza l’inadeguatezza dell’assetto e, da questa, la conseguente responsabilità degli amministratori.

In un quadro di questo tipo, ove, come abbiamo visto, l’area della sindacabilità dell’attività gestoria dell’amministratore delegato, ma anche non delegato, tende ad ampliarsi nuovamente e ciò sia sotto il profilo dell’area di responsabilità (adozione di “adeguati” assetti organizzativi) sia sotto il profilo patrimoniale, ci si chiede se sia possibile individuare alcuni possibili contegni che, quanto meno tendenzialmente, possano creare una sorta di “paracadute” per l’amministratore che si trova a gestire l’impresa. A maggior ragione in fasi di crisi e in proposito certo l’attuale situazione pandemica ha un’incidenza enorme sulla nostra economia e sulle nostre imprese.

Ciò, per vero, anche in un’ottica di tenuta del sistema visto che l’alternativa sarebbe solo “scappare” e abbandonare la nave non solo prima che affondi, ma anche prima che giunga in acque tempestose….. il che è una contraddizione in termini per un imprenditore.

Individuiamo di seguito alcuni precedenti giurisprudenziali che preme richiamare in quanto, anche a contrario, sembrano suggerire, a valle, alcuni comportamenti concreti che in qualche modo possono proteggere i nostri amministratori di società di capitali.

  1. Importante innanzitutto per l’amministratore che compia scelte gestorie ed operative, lasciare traccia delle “cautele” adottate in tale percorso. Così ad esempio il Tribunale di Milano (sentenza n. 12007/2019) in un caso in cui si discuteva della responsabilità di un amministratore nell’aver scelto un villaggio turistico rivelatosi inadatto (per la necessità di interventi di manutenzione) ad ospitare gli affiliati della società ha escluso la responsabilità dello stesso per il fatto di (i) avere eseguito un sopralluogo, (ii) avere ricevuto rassicurazioni in ordine all’esecuzione delle manutenzioni prima del soggiorno, (iii) avere acquisito un parere legale sul contratto
  1. In tema di presentazione di una domanda di concordato preventivo in tesi accusatoria per ritardare la dichiarazione di fallimento in presenza di pagamenti posti in essere poco prima e affermati come preferenziali, il Tribunale di Milano (sentenza n 3090/2020) ha ribadito che la domanda di concordato per essere considerata atto volto a ritardare il fallimento deve essere “abusiva” e che nel caso concreto tale carattere mancava sia perché (i) la domanda era stata ammessa, sia perché (ii) i pagamenti citati risultavano dalle scritture contabili ed erano stati indicati nel ricorso (un tanto nell’ambito di quella disclosure che oramai sempre più la giurisprudenza fallimentare richiede in occasione della presentazione della domanda di concordato preventivo)
  2. Si è affermato che nel caso in cui un diverso soggetto sia subentrato nella carica di amministratore di una società di capitali, dopo la presentazione della dichiarazione di imposta ma prima della scadenza dei versamenti, lo stesso sarà responsabile dell’omesso versamento delle somme dovute sulla base della dichiarazione qualora non abbia compiuto un previo controllo contabile sugli adempimenti fiscali, esponendosi in questo modo volontariamente alle conseguenze dell’omesso versamento. Dovrà essere dimostrato che non sia stato in alcun modo possibile per il contribuente reperire le risorse necessarie a consentirgli il puntuale adempimento pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli al suo patrimonio personale per assolvere il debito erariale (Cass., n. 15218/2020)
  3. In materia di assetti organizzativi il Tribunale di Milano (n. 11105/2019) ha ritenuto non responsabile l’amministratore di una società con riferimento ad un’operazione di affitto di azienda rivelatasi “fallimentare” per l’incapacità patrimoniale e finanziaria dell’affittuaria, in quanto (i) vi era un adeguato assetto di trasmissione delle fatture e della contabilità e degli incassi, (ii) si trattava di un punto vendita chiuso da tempo e quindi con difficoltà ad essere riavviato, (iii) per tale ragione era stato concesso un free rent di un anno, (iv) essendosi l’amministratore attivato senza indugio nel momento in cui è emersa la perdita rilevante del capitale
  4. La Cassazione con sentenza 25056 del 9.11.2020 ha affermato il principio secondo il quale l’amministratore di una società non è responsabile verso la società per avere compiuto scelte economiche inopportune nel caso di specie un’abnorme apertura di credito verso un cliente poi fallito, se nella valutazione dei comportamenti è stata utilizzata la diligenza necessaria consistente nel reperimento di informazioni normalmente richieste in simili operazioni e avendo acquisito una fideiussione dalla moglie del creditore
  5. Per la Cassazione (Sez prima penale dep 03.04.2018) ai fini della configurabilità del concorso dell’amministratore senza deleghe in bancarotta patrimoniale per omesso impedimento dell’evento è necessaria la prova della sua concreta conoscenza del fatto o di gravi segnali di allarme, considerando però il concreto funzionamento del c.d.a. alla luce delle clausole di organizzazione delle funzioni gestorie rispettivamente recate dallo statuto e adottate dall’assemblea
  6. Per il Tribunale di Milano (Trib. Milano 21 ottobre 2019) la “mera ricerca di finanziatori interessati all’acquisto delle azioni” ovvero la mera valutazione della possibilità di “cessione di alcune delle farmacie rientranti nel patrimonio delle SPA”….. risultano condotte di per sé non in linea con i doveri gestori oggi predicati dall’art. 2086 cc vigente che impone l’adozione senza indugio di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi ed il recupero della continuità
  7. Il Tribunale di Roma (Trib. Roma 24 settembre 2020) ha ritenuto che, a fronte di una evidente situazione di crisi di una società, il Consiglio di amministrazione non potesse essere accusato di inerzia a fronte di una serie di interventi messi in atto, quali il tentativo di concludere la quotazione della società, l’emissione di prestito obbligazionario, il perseguimento di una politica di abbattimento dei costi e riorganizzazione di un ramo d’azienda

 

Indici ricavabili dalla giurisprudenza

Ecco che dalle pronunce sopra richiamate si ritiene possano essere ricavati “a ritroso” degli indici di comportamento, ovviamente non assoluti, ma certamente da considerare da parte dell’amministratore che voglia indirizzare il proprio operato adottando alcune cautele al fine di arginare le possibili contestazioni di responsabilità gestoria.

Di seguito proviamo ad individuare alcune possibili regole di comportamento:

  1. Osservare delle cautele -da contestualizzare al caso specifico- per esempio conducendo dei sopralluoghi, approfondimenti, attività istruttoria (lasciandone traccia), chiedendo pareri legali a terzi
  2. Fare affidamento a precedenti provvedimenti della PA piuttosto che a precedenti giudiziali e pareri tecnici
  3. Adottare la scelta di massimizzare la trasparenza anche nell’indicare pro e contro della decisione (ad esempio nei verbali dei consigli di amministrazione ovvero in caso di amministratore unico comunque verbalizzando la decisione quale “determina”)
  4. Valorizzare in termini di dubbio le incertezze proprie di una lettura ex ante per affermare indirettamente che ovvio, se letto ex post, alcune variabili potevano non essere incerte (così ho adottato una certa decisione pur tra diverse possibili in ragione dei diversi scenari ex ante prevedibili)
  5. Dimostrare di aver fatto più cose per cercare di prevenire o impedire l’evento, in sostanza avvicinare i comportamenti alla prova di aver fatto tutto il possibile
  6. Con la prova di “averci rimesso” in termini egoistici per sottolineare ed evidenziare un movente di buona fede ovvero aver rinunciato a dei diritti altrimenti acquisiti (tipo compensi o dividendi)
  7. Dimostrare/allegare delle difficoltà profilate all’orizzonte in sede di decisione e quindi adeguare nell’incertezza fisiologica, le decisioni
  8. Valorizzare la tempestività dell’adozione delle misure di protezione/salvaguardia
  9. Valorizzare la diligenza nel chiedere aiuto, opinioni, consulenze anche a comparable o al mercato indipendente
  10. Adozione di strumenti almeno parzialmente mitigativi, cercando delle soluzioni di compromesso e di attenuazione del danno/responsabilità
  11. Ricordare che: Il primo che denuncia e esce dal coro viene sempre premiato
  12. Lasciare tutto a futura memoria (non solo lo dico a nuora perché suocera intenda ma anche data certa opponibile etc. etc.)
  13. Rafforzare la intensità e frequenza delle verifiche.  Adattare la propria reattività gestoria alla gravità del problema per elevare il metro dell’asticella della diligenza nel caso specifico

Luca Ponti, Francesca Spadetto